Grecia, Lettonia e Bulgaria sono diventate le nuove destinazioni per l’esportazione dei rifiuti italiani, ma in molti casi il loro trattamento non è conforme alle direttive europee. Spesso si tratta di rifiuti identificati con il codice CER 191212, che si riferisce a materiali sottoposti a trattamento meccanico e destinati a impianti per la produzione di combustibile solido secondario, prima di essere inviati ai cementifici. Tuttavia, dalle ispezioni emerge una realtà allarmante: molti di questi impianti si limitano a modificare il codice dei rifiuti, aggirando così i controlli previsti.
“Il problema è che, dalle nostre ispezioni, abbiamo potuto verificare come spesso questi impianti siano semplicemente dei luoghi in cui avviene un cambio del codice al fine di aggirare i controlli”, denuncia Claudia Salvestrini, direttrice generale del consorzio nazionale Polieco. “Spesso i rifiuti che partono dai porti italiani finiscono in piattaforme non adeguate al loro trattamento. E solo pochi mesi fa ho trovato la stessa situazione in Lettonia e in Bulgaria, confermando quello che è purtroppo un trend che non si arresta”.
Questa problematica si inserisce in un contesto più ampio, caratterizzato da un aumento dell’export di rifiuti verso il sudest asiatico e la Turchia. Solo nel 2023, l’Unione Europea ha esportato 35,1 milioni di tonnellate di rifiuti verso paesi extra UE, per un valore complessivo di 18,5 miliardi di euro. Questo fenomeno rappresenta un rischio non solo per i cittadini dei paesi destinatari, ma anche per i consumatori, che potrebbero acquistare prodotti realizzati con plastica riciclata potenzialmente dannosa. Inoltre, le aziende europee del riciclo sono costrette a fare i conti con una concorrenza sleale da parte di chi opera in paesi con normative ambientali meno rigorose.