Automotive, aerospaziale e impiantistica, tre dei principali settori acquirenti di materiali compositi versano da tempo in uno stato di difficoltà, iniziata prima dello scoppio della pandemia di Covid-19. L’emergenza sanitaria, che in Europa si è acutizzata a partire dal mese di marzo, non ha fatto che aggravare la situazione. Nel caso dell’auto ha annichilito la domanda, portando molti stabilimenti a fermare la produzione per qualche mese, mentre nel comparto aeronautico produrrà effetti sul settore industriale nei prossimi mesi, provocando una forte contrazione della richiesta di velivoli, dato che la domanda di trasporto riprenderà – nella migliore delle ipotesi – molto lentamente.
Domanda in calo fino al 2021
Per l’industria dei compositi, abituata a una crescita ininterrotta, è stata una doccia gelata, anche se la domanda aveva già mostrato segnali di stagnazione. Secondo uno studio dell’associazione AKV, che rappresenta la filiera europea delle plastiche rinforzate, il consumo di materiali additivati con fibre di vetro nel 2019 si è attestato a 1,14 milioni di tonnellate, lo stesso livello dell’anno precedente, anche se con qualche differenza nell’ambito dei diversi segmenti applicativi, con una crescita – ad esempio – di SMC/BMC, pultrusione e compositi termoplastici. Dati o stime relativi a quest’anno non sono disponibili, ma si può ragionevolmente ipotizzare che lo scenario non sia migliorato.
Un recente studio di MarketsandMarkets ipotizza infatti che, a livello globale, il mercato possa scendere dai 90,6 miliardi di dollari dell’anno scorso a poco meno di 83 miliardi nel 2021, mettendo così a segno un tasso di decrescita medio annuo del -4,4%, trend ammorbidito solo in parte dalla tenuta di settori quali eolico (grandi pale in composito) e difesa.
Solvay ristruttura i compositi
L’industria dei materiali compositi sta reagendo alla flessione mettendo in atto misure di ristrutturazione dei costi e dismettendo attività ritenute meno redditizie o periferiche rispetto al core business.
Il colosso belga Solvay, per esempio, si prepara ad affrontare la contrazione degli ordini causata dai riflessi della pandemia sull’industria aeronautica accelerando il processo di ristrutturazione delle attività nei compositi, varato nei mesi scorsi in seguito al fermo della produzione del Boeing 737 MAX. Il piano prevede la chiusura di due stabilimenti, uno nel Regno Unito (Manchester), l’altro negli Stati Uniti (Tulsa, Oklahoma), con parziale ricollocamento delle capacità in altri siti, nei quali sono stati programmati interventi per incrementare le capacità produttive. L’operazione porterà al taglio di circa 570 posti di lavoro, pari a quasi il 20% del personale della divisione Composite Materials. La ristrutturazione, nelle previsioni di Solvay, porterà a un risparmio di costi per 60 milioni euro, a fronte di un onere straordinario pari a 30 milioni, che sarà rendicontato nel secondo trimestre di quest’anno.
Gurit riprogramma le attività
Solvay non è la sola a riallineare le capacità produttive alla contrazione della domanda. L’elvetica Gurit ha deciso di anticipare a quest’anno la chiusura dello stabilimento di Zullwil (Svizzera), inizialmente programmata per la seconda metà del 2021. La produzione di prepreg destinati al settore aerospaziale sarà concentrata nell’impianto tedesco di Kassel, dove – in vista del trasferimento delle attività – erano già stati programmati interventi di ampliamento e ammodernamento delle attrezzature. Gurit aveva deciso di dismettere anche un secondo stabilimento, in Ungheria, dedicato alla produzione di componenti auto in composito, ma invece di chiuderlo ha successivamente preferito cederlo alla società italiana Carbopress, parte di Atomo Group, attiva nella progettazione e fabbricazione di componenti in composito destinati ai settori automobilistico e aerospaziale.
Salta la fusione tra Hexcel e Woodward
Cambio di progetti anche nell’altra sponda dell’Atlantico. Nei primi giorni di quest’anno, il fornitore di componenti e soluzioni per l’industria aerospaziale Woodward e il produttore di materiali compositi Hexcel avevano annunciato un’ambiziosa fusione tra pari, che avrebbe dato vita a Woodward Hexcel, colosso da 16.000 addetti, stabilimenti in 14 paesi di cinque continenti, un giro d’affari proforma di 5,3 miliardi di dollari e un Ebitda di 1,1 miliardi di dollari. Secondo le previsioni, ne sarebbero derivato un risparmio di costi, grazie alle sinergie, pari a 125 milioni di dollari l’anno.
Il progetto è durato pochi mesi: a fine aprile, i due partner hanno messo fine, consensualmente, al “merger of equals”, incolpando del fallimento il virus SARS-CoV-2, che, con i suoi effetti sul settore aerospaziale e, più in generale, sull’industria manifatturiera, avrebbe azzerato i benefici dell’operazione. I due partner hanno ritenuto troppo rischioso affrontare una delicata operazione finanziaria e industriale in tempi di incertezza e confusione, pur ribadendo di credere nei benefici di una fusione delle rispettive attività industriali.