La sostenibilità parte dal design

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Pensare al materiale da usare, alla sua possibilità di riciclo e di riuso sono i primi passi da compiere nel momento in cui si progetta un nuovo prodotto. Questo significa ripensare a tutto il flusso produttivo per ridurre gli sprechi, ottimizzare i consumi energetici e abbassare le emissioni di CO2. Obiettivo: alleggerire l’impatto ambientale dell’impresa

di Lia Panzeri

Viene chiamato design sostenibile o ecodesign ed è il primo passo da compiere se l’obiettivo che si intende raggiungere è quello di produrre in modo più sostenibile. La Commissione Europea lo definisce come «l’integrazione sistematica degli aspetti ambientali nella progettazione del prodotto al fine di migliorarne le prestazioni ambientali nel corso dell’intero ciclo di vita» (Direttiva 98/2008/CE). Passando alla pratica, si tratta di un processo che, fin dalla fase di progettazione di un oggetto, ne studia il suo intero ciclo di vita a cominciare dal materiale in cui verrà realizzato fino ad arrivare alla sua possibilità di essere riutilizzato o riciclato.

Non solo estetica e usabilità, dunque, ma molto di più. E questo perché, come ci ricorda sempre la Commissione UE: «Fino all’80% dell’impatto ambientale dei prodotti è determinato nella fase di progettazione», citando lo studio Ecodesign your future – How ecodesign can help the environment by making products smarter. Non a caso sono già diverse le aziende operanti in settori differenti che hanno rinnovato i cicli di produzione per abbassare le emissioni inquinanti e realizzare prodotti green e tante altre si aggiungeranno all’elenco. Un trend che spinge la richiesta di tecnici specializzati in ecodesign, così come altre professionalità che ruotano attorno al tema della sostenibilità.

L’ecodesign non è solo un costo

In questo quadro tutto in evoluzione, istituti come lo IED (Istituto Europeo del design) di Torino sono diventati un punto di riferimento nell’educazione delle nuove generazioni di designer con una formazione che integra i principi green e la responsabilità sociale nel processo creativo. 

Ma, sebbene quello del design sostenibile sia un tema caldo da alcuni anni, «tra i nostri piccoli e medi imprenditori, purtroppo, ci sono ancora quelli che lo considerano solo un costo», dice Marco Cassino, coordinatore del corso in Product Design dello IED di Torino e amministratore delegato dello Studio di Design Volcano. «In realtà costa di più solo in termini cognitivi perché quando si decide di avere un approccio al mercato sostenibile occorre farlo con convinzione e con un’ottica di lungo periodo, indispensabile per ottenere risultati significativi da un punto di vista economico e ambientale. E questo richiede progettualità, costanza e determinazione».

I vantaggi non mancano

Marco Cassino, coordinatore del corso in Product Design dello IED di Torino e amministratore delegato dello Studio di Design Volcano

Un impegno che, in tempi complessi come quelli attuali dove le difficoltà dei mercati costringono gli imprenditori a navigare a vista, non tutti si sentono di sostenere, anche se i benefici che si possono raggiungere non sono da poco. Scegliere la strada del design sostenibile significa, infatti, ottimizzare i consumi di energia, ottenere una maggiore durabilità dei prodotti, ridurre le emissioni di CO2, diminuire il consumo di materie prime, migliorare i processi di produzione e favorire il riciclo e il riutilizzo degli oggetti prodotti.

«Mi capita spesso di lavorare con le PMI come consulente in ambito ricerca e sviluppo, attività che spesso nelle aziende di dimensioni ridotte, coinvolge anche il processo produttivo», racconta Cassino. «Ciò significa pensare al ciclo di vita del prodotto, valutarne l’impatto ambientale in tutte le fasi della sua vita, dalla produzione alla dismissione. Questo approccio aiuta i progettisti a identificare le modalità per estendere la durata d’uso dei prodotti per ridurre i rifiuti e promuovere un consumo più consapevole e responsabile».

In pratica, se un ingegnere in azienda si occupa di ottimizzare il processo produttivo velocizzando puntualmente lo spostamento di un oggetto da un punto a un altro, l’ecodesigner si occupa di migliorare l’intero flusso produttivo prendendo in considerazione la complessità generale, valutando attentamente le interazioni e integrando diverse aree di competenza che si influenzano vicendevolmente, distillando un processo più semplice, più accessibile e più ecologico.

La complicità dei materiali innovativi

Un altro pilastro fondamentale della progettazione sostenibile è rappresentato dall’utilizzo di materiali ecologici, come bioplastiche, materiali riciclati e risorse rinnovabili. Materiali che riducono la dipendenza da risorse fossili e offrono nuove possibilità per il riciclo e il riutilizzo dei prodotti a fine vita.

«Sul fronte dei materiali bioinnovativi, in questi ultimi tempi la ricerca ha fatto passi da gigante», precisa Marco Cassino. «Oggi abbiamo a disposizione una varietà di materiali tecnici ecologici con caratteristiche tecniche simili a quelli di origine fossile. Materiali che possono essere lavorati con successo anche con le stampanti 3D, cosa impossibile fino a pochi anni fa. Un progresso che sta avendo impatti più che positivi sull’intera filiera produttiva e con benefici effetti sull’ambiente (meno sprechi, consumi ed emissioni nocive nell’aria)».

La tecnologia aiuta

“Istituti come lo IED di Torinosono diventati un punto di riferimento nell’educazione delle nuove generazioni di designer con una formazione che integra i principi green e la responsabilità sociale nel processo creativo”

Il design sostenibile è strettamente collegato anche alle nuove tecnologie, il che significa non solo stampa additiva ma anche manifattura digitale, che consentono di migliorare l’uso delle materie prime riducendo gli sprechi e i consumi. «La tecnologia rende indubbiamente i processi più efficienti, ma l’errore che spesso viene fatto dai piccoli imprenditori è considerarla come una sorta di bacchetta magica da usare arbitrariamente, quando invece per utilizzare al massimo il suo enorme potenziale andrebbe acquistata e utilizzata con cognizione di causa», afferma Cassino.

«Solo attraverso un giusto mix tra tecnologia, Industria 4.0 e competenze umane si possono ottenere risultati evidenti e duraturi in azienda. Dove gli uomini sono messi nelle condizioni di dedicare più tempo alla creatività e ai processi, lasciando alle macchine l’esecuzione di lavori ripetitivi. L’intelligenza artificiale, poi, ci aiuta a raccogliere dati e a renderli più leggibili, dando un valore aggiunto alla nostra attività che diventa più veloce e pertinente. Il tutto a patto che la pianificazione del processo sia stata il primo step. Solo così si possono avere risultati economici e ambientali in grado di fare la differenza. Le mezze misure non funzionano bisogna crederci fino in fondo», avverte Marco Cassino.

Il futuro

E non è un’opzione. La diffusione dell’ecodesign e del riutilizzo e riciclo dei beni rientra, infatti, tra i macroobiettivi della Strategia Nazionale per l’Economia Circolare, che punta all’ecoprogettazione per prevenire la produzione di rifiuti e massimizzarne il recupero, il riutilizzo e il riciclo per la creazione di nuove catene di approvvigionamento di materie prime, in sostituzione delle materie prime vergini.

Come dicono in un articolo gli esperti del Laboratorio Ref Ricerche, realtà nata dallo spinoff delle competenze economiche presenti in IRS (Istituto per la Ricerca Sociale), che affianca aziende, istituzioni, organismi governativi, nei processi decisionali relativi all’economia, alla finanza e alla gestione delle risorse umane: «Gli strumenti da mettere in campo per dare concreta attuazione a tali obiettivi, dovranno necessariamente coordinarsi con l’evoluzione del quadro di riferimento comunitario, nella consapevolezza della fragilità dell’economia italiana, caratterizzata da una cronica dipendenza dalle importazioni di materie prime ed energia».

Nell’attesa che ciò avvenga è indubbio che il design sostenibile, insieme all’innovazione tecnologica in chiave ambientale dei prodotti e dei processi, inclusi quelli di riciclo, potrà fornire un contributo determinante alla riduzione del consumo di risorse naturali e degli impatti ambientali della produzione e del consumo di beni e servizi. Ma non basta. Questo contributo, infatti, «dovrà essere necessariamente accompagnato da una trasformazione profonda dei modelli di produzione e consumo, a partire dall’accettazione e dal riconoscimento del concetto stesso di limite, ovvero della presenza di limiti fisici nei sistemi naturali che delimitano lo “spazio operativo sicuro” all’interno del quale possiamo prosperare», concludono gli esperti di Ref Ricerche.


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