Plastic Bank: molto più che riciclata, è plastica solidale!

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«Una grande quantità di rifiuti in plastica si sta riversando nel mare ogni giorno, ogni minuto. Gli animali muoiono soffocati da frammenti, sacchetti e reti di plastica. Eppure, l’ultima cosa che dovremmo fare è ripulire gli oceani». Un pensiero controcorrente? No, un’idea geniale, che come tutte le soluzioni semplici è talmente evidente da passare inosservata. «Se entrando in cucina vedessimo il lavello traboccante, l’acqua che allaga il pavimento, che bagna le pareti… cosa faremmo come prima cosa? Chiuderemmo il rubinetto, senza pensarci un secondo. Sarebbe inutile passare lo straccio, sturare il lavandino e raccogliere l’acqua se prima non facessimo in modo di interromperne il flusso. E allora, perché non fare lo stesso con l’oceano?» spiega David Katz, co-fondatore e CEO di Plastic Bank, l’unica organizzazione al mondo che è riuscita a monetizzare i rifiuti a vantaggio delle popolazioni più disagiate. «Anche ipotizzando che i programmi di pulizia del mare e delle spiagge – dal progetto Ocean Cleanup alle iniziative virtuose delle associazioni ambientali di tutto il mondo – avessero successo, sarebbero comunque insufficienti» sostiene Katz. Dagli anni Cinquanta a oggi la produzione dei manufatti in plastica e il loro abbandono nell’ambiente a fine vita sono cresciuti a ritmi vertiginosi.

Quantificare l’entità del fenomeno è un’impresa tutt’altro che semplice, ma gli esperti di scienze ambientali sono all’opera. Nello studio Production, use, and fate of all plastics ever made, Roland Geyer e altri ricercatori statunitensi sostengono che l’intera produzione mondiale di polimeri vergini ammonta a 8 miliardi e 300 milioni di tonnellate e che è aumentata con un tasso medio dell’8,4 per cento ogni anno. L’effetto cumulato di questa crescita, però, arriva al 19.000 per cento: dai 2 milioni di tonnellate nel 1950, siamo infatti
passati ai 380 milioni nel 2015. Ma il dato più allarmante è che di questi 380 milioni di tonnellate – precisa Katz – circa 8 milioni sono finiti in mare, unendosi ai circa 150 milioni di tonnellate già presenti. Ma da dove arrivano questi rifiuti? «Sembra che l’80 per cento provenga dai Paesi più disagiati» puntualizza il CEO di Plastic Bank. «Il riciclo non è certamente uno degli obiettivi prioritari di chi vive in miseria, più preoccupato del cibo, della sicurezza della propria famiglia o di trovare un riparo». Rifiuti e povertà sono due problemi che spesso convivono e che Katz, insieme al suo socio Shaun Frankson, hanno saputo risolvere fondendoli in Plastic Bank, una catena di negozi per ultra poveri, dove tutto può essere acquistato utilizzando come moneta i rifiuti di plastica.

«Ogni giorno, i raccoglitori – essenzialmente donne che hanno perso tutto durante il terremoto – portano nei nostri punti vendita di Haiti i rifiuti trovati per le strade o cercati attraverso il porta a porta» continua Katz. «I materiali vengono pesati e il loro valore – 25 centesimi di dollari alla libbra (40 centesimi al chilo) – viene depositato su un conto online, che diventa un gruzzolo da cui poqueter attingere. Le persone più disagiate ritrovano così la dignità». Non solo, in questo processo realmente virtuoso anche i rifiuti trovano una nuova dignità: selezionati, triturati e imballati, vengono venduti a grandi marchi che si sono impegnati nell’utilizzo di “plastica solidale” nei loro prodotti. Tra questi ci sono Marks & Spencer, Henkel e Shell.

Katz e Frankson stanno però andando avanti e sviluppando ulteriormente il progetto. Circa sei mesi fa, in collaborazione con IBM, hanno lanciato un’applicazione bancaria sicura, che non solo tiene traccia di quanto viene raccolto, ma fornisce anche un portafoglio digitale attraverso il quale possono essere custoditi i guadagni senza correre il rischio di essere derubati. Lo strumento – assicura Frankson – è accessibile a tutti o quasi, visto che circa il 50 per cento delle persone ad Haiti possiede uno smartphone in grado di eseguire l’app.

Ma andiamo oltre. Disporre di un sistema digitalizzato significa poter depositare il materiale in un qualunque negozio in tutto il mondo, e che una famiglia può ritirare mattoni, pagare la retta scolastica e l’assistenza sanitaria, oppure acquistare energia o traffico per il cellulare negli slum di Manila. Oggi Plastic Bank è operativa ad Haiti e nelle Filippine, può contare su uno staff selezionato e partner per il Brasile e si sta dirigendo verso l’India e l’Etiopia. Nulla vieta che in futuro anche chi vive nei Paesi più ricchi possa fare donazioni con questa nuova moneta di scambio. Perché, in questo bell’esempio di economia circolare, «La plastica non è solo plastica o plastica riciclata, ma plastica solidale, un materiale che acquista valore grazie alle vite delle persone che ci hanno a che fare, ricchi o poveri che siano» conclude Katz.


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